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Sullo sfondo di una Sicilia dell’Ottocento, Ciccina è la protagonista inedita, irreverente e quanto mai attualissima di questa storia di adulteri, briganti, amori più o meno leciti e potenti messi a tacere, scritta in un comprensibilissimo misto di italiano e antico dialetto siciliano.
Donna Francesca Savasta, detta Ciccina, è una donna del popolo, semplice forse ignorante ma sicuramente rivoluzionaria nella sua infinita saggezza e concretezza. Fa la levatrice di uno sperduto paesino dei monti Iblei e interpreta il suo ruolo in modo molto personale, prodigandosi per “sistemare” al meglio la vita di inesperte e povere puerpere e dei bambini abbandonati alla ruota che finiscono magicamente tra le accoglienti braccia di giovani donne che altrimenti non potrebbero essere madri. Tutto questo secondo una perfetta legge morale, la sua, che però è spesso difforme da quella dello Stato.
E così il bambino della moglie del fabbro, rimasta vedova, partorito a poche ore di distanza da quello purtroppo nato morto di una famiglia benestante del paese, grazie a Ciccina risulterà essere quello della ricca famiglia e la madre naturale verrà presa da loro come balia così da poter stare vicina al bambino e ricevere anche qualche soldo per il suo lavoro. O ancora, la giovane nipote del sindaco innamorata del falegname e ricambiata, ma promessa sposa all’anziano notaio del paese che spera di ricevere un figlio dalla sua terza e giovane moglie, anche se quello impotente è lui, verrà aiutata da Ciccina a concepire un figlio con l’amato falegname spacciandolo per quello del notaio, così che il bambino possa crescere in una famiglia benestante; e ai due giovani… non resterà altro che aspettare.
Insomma Ciccina nel suo ruolo non ha paura di tener testa a nessuno, nemmeno al sindaco, ad esempio per fargli togliere quel lampione piazzato davanti alla ruota e che impedisce alle puerpere di abbandonare il frutto dei loro amori illeciti con il favore delle tenebre. Certo, alcuni maligni potrebbero far notare che il lampione incriminato illumina anche l’uscio di casa di Ciccina e il passaggio del suo amante, il parroco Peppino, con cui vive una bellissima storia d’amore, tenuta segreta per convezione ma di cui forse tutto il paese è a conoscenza e rispetta. Adulteri, uccisioni e vendette sono narrati con un tono leggero, in modo divertito e divertente e con un’ironia che permea l’intero romanzo. E una sapientissima orchestrazione degli eventi, una cura dei nomi, una conoscenza profonda degli ambienti e di consuetudini dell’epoca conferiscono credibilità anche agli eventi più bizzarri, come la morte del parroco Peppino che risulterà essere solo apparente…
«Degna compagna delle fimmine della tradizione letteraria siciliana, irriverente, sensuale, vitale, Ciccina è un personaggio indimenticabile» – Stefania Auci
Laura Lanza è nata a Roma. Ha lavorato nella prestigiosa Biblioteca Vallicelliana ed è caporedattore della rivista Accademie & Biblioteche d’Italia. Nel 2017 è entrata a far parte dell’Osservatorio del libro e della lettura. Autrice di numerosi contributi sulla vita culturale della capitale, ha curato la rubrica “Bibliografia di storia delle istituzioni contemporanee” sulla rivista Le carte e la storia. Con questo suo primo romanzo è stata finalista della 32ma edizione del Premio Calvino.
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